Terme di Veleia Romana: pavimentazioni drenanti per il restauro archeologico

Il progetto di restauro archeologico ha interessato il tepidarium e il calidarium dell’impianto termale all’interno del sito archeologico di Veleia Romana (II sec a.C.), situato nel comune di Lugagnano Val d’Arda, a Piacenza. L’intervento ha permesso di riqualificare un’area di uno dei rari esempi di città romana ancora visibile e fruibile nel nord Italia, anticamente abitato dalla civiltà dei Ligures Veleiates, prima dell’arrivo dei Romani. 

Nel panorama culturale europeo, l’importanza del sito - scavato a partire dalla seconda metà del XVIII secolo da don Filippo di Borbone, infante di Spagna e dal 1749 duca di Parma, Piacenza e Guastalla - è data, infatti, non solo dalla scarsità di scavi di città romane nel nord Italia e dal patrimonio di reperti che ha restituito, ma anche dal costituire una testimonianza delle strategie di governo del territorio e delle abitudini di vita delle colonie romane. In tal senso, è un esempio tangibile il ritrovamento della “tabula alimentaria”, documento che dimostra la totale padronanza del territorio dal punto di vista delle proprietà e del loro valore ma anche della redistribuzione dei redditi verso i meno abbienti.

Il restauro del complesso termale, già oggetto di un pesante e discutibile intervento di restauro negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, ha previsto il recupero delle murature perimetrali dei due locali del complesso termale, la loro pulitura dagli infestanti (muschi e licheni) e il consolidamento generale dei conci di pietra tramite l’inserimento di apposite malte, e il ripristino delle pavimentazioni di base e di quelle sospese. 
In particolare, per la sostituzione del pavimento di base - già ricostruito negli anni ’60 in cemento con l’inserimento di pezzi di laterizio posati con andamento non regolare, in modo per nulla coerente con le tecniche costruttive del pavimento originale andato perduto - sono state impiegate tecniche e materiali che meglio interpretano e ripropongono le caratteristiche degli originali. 

In merito al rifacimento della pavimentazione di base del calidarium e del tepidarium, la scelta progettuale è relativa all’uso del conglomerato cementizio i.idro DRAIN di Italcementi, le cui caratteristiche drenanti contribuiranno anche alla sua durata nel tempo. L’esito dei due saggi archeologici interni alla pavimentazione ha permesso di rinvenire piccole porzioni di cocciopesto, a dimostrazione che il pavimento di base dei locali era costruito con questo materiale. Il prodotto i.idro DRAIN si è dimostrato coerente anche dl punto di vista estetico nel processo di anastilosi nel confronto dell’originale coccio pesto.  

Le scelte progettuali
Il progetto ha interessato una piccola porzione del sito archeologico di Veleia Romana, recuperandone le porzioni degradate e ammalorate. In particolare, gli spazi termali risultavano fra quelli maggiormente bisognosi di pulitura, dopo gli ultimi interventi degli anni ’60. 

“Sia le murature perimetrali che le pavimentazioni del calidarium e del tepidarium erano ricoperte da un abbondante strato di muschi e licheni, assieme ad una certa quantità di erbe infestanti. Inoltre, le murature presentavano, in alcuni punti, distacchi dei conci in pietra in alcuni casi puntuali e in altri più diffusi; le malte fra i diversi conci di pietra risultavano estremamente degradate, tanto da compromettere in alcuni casi la stabilità della struttura, e il pavimento di base, ricostruito negli anni ’60 in cemento, presentava grosse lacune e crepe diffuse su tutta la superficie. Le porzioni di pavimento sospeso (pilae e suspensura in cotto) erano molto instabili e, in alcuni casi, fuori posto rispetto allo schema costruttivo”, spiega l’arch. Luca Oddi dello studio “d’uopo architettura” (Parma), a cui sono state affidate dalla Committenza - la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Parma e Piacenza - il progetto architettonico e di restauro.

“Una scelta progettuale importante – precisa l’architetto - è stata quella di evitare, al momento della pulitura dei materiali lapidei, uno stacco percettivo tropo forte fra le parti restaurate e le vicine rovine non oggetto di intervento. Si è quindi deciso di mantenere una “patina del tempo” che aiutasse l’occhio del visitatore a non avere un contrasto eccessivo fra il restaurato e il non restaurato, riproponendo qualcosa che fosse il più possibile coerente con il materiale e la forma originali che si volevano riprodurre”.

La collaborazione tra lo studio di progettazione architettonica, il funzionario della Soprintendenza Dott. Marco Podini, e la ditta di restauro che si è occupata dell’esecuzione dei lavori, “Opus Restauri” di Giorgio Arcari & Angela Allini, ha consentito di individuare le tecniche e i prodotti che potessero garantire, in misura maggiore, un intervento conservativo efficace e duraturo. Sia nelle fasi di pulitura che di consolidamento, sono stati scelti prodotti biocompatibili - biocidi prima e idrorepellenti protettivi alla fine del processo. 

“La scelta dei materiali è stata molto importante nella redazione del progetto. Le malte utilizzate per il ripristino dei giunti sono a base di calce, il più possibile simili a quelle originali, e le azioni di ripristino delle stesse sono state eseguite prestando particolare attenzione nell’evitare l’accumulo di acqua meteorica e, di conseguenza, aumentare da durabilità dell’intervento e abbassare i costi di manutenzione”, afferma Oddi.  

Nei confronti del pavimento di base, la soluzione adottata ha quindi previsto di inserire un nuovo pavimento in sostituzione di quello precedente, delimitandolo con un materiale contemporaneo, l’acciaio Cor-ten, nei confronti delle murature originali e caratterizzandolo con una forte coerenza materica e cromatica nei confronti del materiale che si voleva emulare, il cocciopesto.

“L’acciaio Cor-ten, impiegato per il cordolo perimetrale, ben si sposa con i materiali lapidei e con gli interventi nel paesaggio, dal momento che quando ossida assume un colore brunito e rimane intatto senza deteriorarsi. Per la realizzazione del pavimento è stato utilizzato il conglomerato cementizio i.idro DRAIN, originariamente nato per la realizzazione di percorsi ciclo–pedonali in aree urbane e naturalistiche, che ha permesso di ripristinare il reperto archeologico con un processo ricostruttivo coerente e di facile lettura che, pur ben integrandosi nel contesto, allo stesso tempo lo mette in evidenza rispetto alle parti originali, garantendone stabilità e durevolezza”, dichiara Oddi.

Le caratteristiche particolarmente innovative del conglomerato cementizio i.dro DRAIN di Italcementi unitamente alla possibilità di essere tinto con ossidi, hanno infatti consentito di riproporre le caratteristiche cromatiche e materiche del cocciopesto, garantendo oltre ad un’ottima e piacevole resa cromatica e percettiva, caratteristiche meccaniche e di durata interessanti anche a bassi spessori (6-8 cm) e una totale permeabilità all’acqua, che limiteranno al massimo la manutenzione futura.  

Nel ripristinare le porzioni di muratura cadute e le malte dei giunti andate perse, si sono riprese le tecniche di posa e i materiali coerenti con l’originale. Lo stesso atteggiamento è stato utilizzato nel riposizionare i pilastrini (pilae) che sostenevano il pavimento sospeso (suspensura). Dopo essere stati delicatamente restaurati e protetti, questi elementi sono stati riposizionati in modo da garantire la migliore leggibilità dei diversi strati funzionali.

Il progetto di riqualificazione ha previsto anche l’installazione di un piccolo impianto di illuminazione scenografica, utile a valorizzare e ad impreziosire il reperto nelle ore notturne. 

La posa del conglomerato cementizio drenante
Il particolare mix design di i.idro DRAIN, contenente inerti a granulometria costante, ha permesso di confezionare un conglomerato cementizio estremamente resistente, caratterizzato da ottime performance meccaniche e, allo stesso tempo, da un’altissima capacità drenante e un elevato valore estetico, come confermato dall’arch. Oddi: “Questa soluzione ci ha offerto la possibilità di sostituire la pavimentazione di base in cemento, risalente al precedente restauro, con una superficie capace di far defluire immediatamente l’acqua piovana, realizzata con materiali − e cromie − più naturali, meglio integrabile nel contesto del sito di epoca romana. Il prodotto è infatti predisposto per essere colorato. Insieme ai restauratori che hanno posato il prodotto, abbiamo eseguito una serie di prove per raggiungere, attraverso l’uso di ossidi e pigmenti specifici, la massima coerenza cromatica con il materiale originale in cocciopesto. Inoltre, proprio grazie all’inserimento degli inerti, la texture del materiale posato restituisce una superficie leggermente “più scabrosa”, caratterizzata da un effetto grezzo e da una matericità, una naturale capacità di riflettere la luce in maniera non omogenea che la rendono molto più vibrante sia alla luce diurna che artificiale di notte. L’impianto di illuminazione scenografica realizzato con luci radenti a ridosso della pavimentazione consente di valorizzare questa naturale irregolarità del prodotto i.idro DRAIN”.

La posa della superficie drenante è stata realizzata rimuovendo parzialmente la pavimentazione in cemento e predisponendo una base in stabilizzato di ghiaia ben compattato sulla quale è stato steso un telo di “tessuto non tessuto” (geotessuto). Successivamente è stato gettato il conglomerato cementizio i.idro DRAIN di Italcementi per uno spessore di circa 8 cm.  

“L’utilizzo di un materiale così contemporaneo – spiega Oddi - è sicuramente poco consueto negli interventi di restauro archeologico; la scelta, approvata dalla Soprintendenza previa l’esecuzione dei campioni, è stata quindi supportata sia dalla finitura di pregio del prodotto e dalla buona resa estetica che dalla possibilità di mettere in opera un intervento che fosse durevole, eventualmente facilmente rimovibile e necessitasse di poca manutenzione. 

Inoltre, l’intervento di restauro – ancor più quello di tipo archeologico – deve basarsi sul concetto di reversibilità rispetto agli elementi originali al contorno; per questo è stato posato un “tessuto non tessuto” tra lo strato di base e la nuova pavimentazione e lungo il bordo perimetrale è stato inserito un angolare in acciaio Cor-ten (60x60x3 mm) al fine di delimitare una sorta di cassero a perdere in cui gettare il prodotto e consentire una separazione tecnica, oltre che architettonica, dalle murature originali che possa facilitare una eventuale rimozione del prodotto in futuro”.

Grazie al valore aggiunto che il prodotto ha conferito al progetto e anche per la necessità di dare una giusta continuità di modus operandi all’intervento di restauro, la soluzione i.idro DRAIN verrà impiegata anche per il recupero di altre pavimentazioni del sito. 

“L’intervento di restauro di questa piccola porzione del sito archeologico di Veleia ha sicuramente contribuito al processo di valorizzazione generale dell’intera area. I visitatori possono ora apprezzare gli spazi delle terme attraverso un rinnovato e coerente percorso didattico. Gli interventi di ricostruzione e di ripristino hanno reso sicuramente più chiaro il sistema costruttivo originale e la composizione dei sistemi costruttivi e al raggiungimento di questo obiettivo ha senza dubbio contribuito la scelta di tecniche e materiali innovativi per la ricostruzione del pavimento che sfruttano le più avanzate tecnologie in materia di resistenza, anche a bassi spessori, permeabilità all’acqua e resa materica superficiale, come il conglomerato cementizio i.idro DRAIN di Italcementi”, conclude Oddi.   


 
 

Mr. Riccardo Pasa

Responsabile i.build, la business unit per le pavimentazioni

Posizione

29018 Lugagnano (Italia)

Area Archeologica Veleia_1.JPG.

Area Archeologica Veleia_2.JPG.

Area Archeologica _Veleia_3.JPG.